Viaggio nelle ex aree industriali della capitale riconvertite spontaneamente a luoghi della creatività, tra fotografia, architettura e prove tecniche di nuovi distretti
L'atelier Lost and Found di Angelo Cricchi a via Arimondi. Fotografia di Nicholas Berardo.
Un televisore degli anni Sessanta. Tre manichini senza testa e senza braccia. Un candelabro a quattro bracci. Un pupo siciliano. Due poltrone con la seduta sfondata.
Quello che colpisce immediatamente lo sguardo, entrando nell'atelier Lost and Found di Angelo Cricchi, sono gli oggetti che popolano questo grande spazio ex industriale immediatamente fuori l'anello ferroviario di Roma. Oggetti vecchi, curiosi, di valore o senza alcun mercato, ma che hanno in comune qualcosa di inafferrabile, che forse è il fatto di sembrare oggetti “amati”: amati da qualcuno che li ha presi, sottraendoli a un destino di irrilevanza o a un restauro che ne avrebbe cancellato ogni imperfezione guadagnata col tempo, e così come erano li ha fatti diventare abitanti di un luogo, protagonisti di una scenografia, perfino quando sono accumulati compulsivamente – ma non casualmente – su una parete o in una vecchia credenza.
L'atelier Lost and Found di Angelo Cricchi a via Arimondi. Fotografia di Nicholas Berardo.
Angelo Cricchi, il proprietario degli oggetti – e dello spazio – è un fotografo e produttore affermato, direttore creativo della rivista Flewid, che di questo studio ha fatto anche la sua abitazione azzerando i confini tradizionali tra lavoro e vita.
Angelo Cricchi nel suo atelier-abitazione. Foto di Nicholas Berardo.
Siamo nel densissimo quartiere romano di Casal Bertone-Portonaccio, dove un tessuto di caseggiati è nato all'inizio del Novecento per alloggiare la classe operaia della vicina fabbrica Snia Viscosa: questo doveva essere infatti, insieme all'Ostiense, uno dei due poli industriali di Roma, progetto mai compiutamente realizzato dal Governo, come ricorda Italo Insolera nel suo “Roma moderna”, per timore che nella capitale d'Italia, sede delle istituzioni, si ammassassero le pericolose classi operaie sindacalizzate. Così, quando le poche fabbriche di Roma hanno chiuso, è arrivata la speculazione edilizia a pompare denaro nell'economia della città e occupare ogni metro quadrato libero.
Via Arimondi a Portonaccio. Foto di Nicholas Berardo.
Per raggiungere Lost and Found bisogna però spingersi quasi al limite del quartiere: qui il tessuto urbano si sfrangia per fare spazio alle infrastrutture della ferrovia e della Prenestina, al grande parco industriale dell'ex Snia, al pulviscolo delle piccole fabbriche coinvolte nella filiera della produzione a larga scala; sembra che la città finisca – e qui finiva molto tempo fa – e invece continua per chilometri.
L'atelier si trova in quello che è un palazzone di 7 piani, troppo alto per essere una fabbrica e con certe finestre troppo grandi per essere una casa, e della cui natura non siamo certi nemmeno una volta varcata la soglia di ingresso.
L'edificio di via Arimondi sede dell'atelier Lost and Found. Foto di Nicholas Berardo.
“Nessuno lo sa questo posto che cos'era” ci dice Angelo mentre ci accoglie nell'atelier che affaccia direttamente sul fascio dei binari della ferrovia “Forse un deposito di automobili. Le macchine arrivavano coi treni merci dalla stazione e poi venivano caricate ai diversi piani tramite un montacarichi ancora esistente, che adesso non funziona più”.
La ferrovia dall'edificio di via Arimondi. Foto di NIcholas Berardo.
Ora i piani di questo (forse) ex silos sono occupati da laboratori di artisti, studi professionali, qualche abitazione; l'aspetto degli spazi condominiali è rimasto rude, spoglio, con le porte di ferro, la struttura in cemento armato a vista, i pianerottoli appena ingentiliti da qualche pianta; gli spazi interni racchiudono invece piccoli mondi pieni di oggetti e di storie da raccontare.
L'atelier Lost and Found di Angelo Cricchi a via Arimondi. Fotografia di Nicholas Berardo.
Dopo Lost and Found visitiamo gli atelier di Barbara e Stella Marina Gallas: la prima, restauratrice professionista per 30 anni, porta avanti ora una ricerca sul recupero di tecniche e materiali antichi applicati alla pittura; il suo studio/abitazione è minuscolo e pieno di opere finite, esperimenti, tentativi, barattoli di tinte, pennelli; la seconda, illustratrice e poi ceramista, ha invece uno studio luminoso all'ultimo piano, dove troviamo ancora barattoli, vasi brillanti, piccole sculture di figure femminili, una tigre di carta, e nel mezzo di una delle stanze, un ciliegio fiorito.
Barbara Gallas nel suo atelier. Foto di Nicholas Berardo.
Il motivo per cui questo luogo sia diventato nel tempo la sede di tanti studi di artista sta in parte proprio nella sua utilitas, ossia nella sua originaria funzione industriale, che ne ha modellato la forma rendendola adatta ad ospitare poi tutt'altro tipo di produzioni: le grandi finestre permettono alla luce di inondare gli spazi, le altezze non consuete consentono di lavorare a opere di grandi dimensioni, e certamente è determinante anche la dinamica dei prezzi che, almeno fino a qualche anno fa, rendeva un ex edificio industriale poco appetibile sul mercato degli affitti.
Stella Marina Gallas nel suo atelier. Foto di NIcholas Berardo.
Angelo è uno dei primi ad affittare uno spazio qui, nel 2004; all’ultimo piano c’è la sede di Radio Rock, ai piani inferiori arrivano altri artisti, tra cui Pizzi Cannella e Dessì. Qui si organizza il primo K Party, la festa segreta che alimenta l’anima underground di Roma, qui viene curata da Achille Bonito Oliva, nel 2012, la mostra “Artisti in condominio”: “Nella seconda decade del terzo millennio, il secondo piano del Portonaccio è totalmente abitato da artiste e artisti dell’ultima generazione, ognuno portatore di una poetica individuale e singolare, ma tutti partecipi ad un quotidiano intessuto di solidarietà, scambio e dialogo”, si legge nel comunicato stampa.
L'atelier di Stella Marina Gallas. Foto di NIcholas Berardo.
E’ una Soho romana, una via Margutta multipiano e periferica, coi loft degli artisti e la voce inconfondibile di Remo Remotti che quasi tutti i giorni dalle frequenze di Radio Rock declama: “Adesso vi spiego in 3 parole perchè sono andato via da Roma nel '51”.
L'atelier di Barbara Gallas. Foto di Nicholas Berardo.
Questo fermento si interrompe nel 2013, quando la proprietà dello stabile per ragioni economiche inizia a vendere gli immobili: molti vanno via, qualcuno compra, tra questi Angelo Cricchi; anche Radio Rock lascia lo stabile, la sua sede diventa l’appartamento di Stella Marina Gallas; poi arriva sua sorella Barbara, altri artisti, giornalisti, architetti. L’anima di luogo creativo sopravvive, ma lo spirito comunitario di quei 10 anni di eventi e collaborazioni diventa un po’ meno forte, e quello che sembrava l'inizio di un processo di riqualificazione di un intero quartiere resta confinato dentro l'ex silos.
L'atelier Lost and Found di Angelo Cricchi a via Arimondi. Fotografia di Nicholas Berardo.
Allora la domanda che rimane sottesa è sempre la stessa, e rispolvera l’antica rivalità con quella che molti considerano l’altra capitale d’Italia, quella economica: perché a Milano gli ex quartieri industriali diventano cittadelle creative e a Roma no?
La domanda, come la rivalità, posta in questi termini in realtà non ha molto senso, perchè Milano e Roma sono due città diversissime per assetto economico, ruolo strategico, e anche per struttura urbana: i grandi quartieri ex industriali di Lambrate o Tortona hanno un’altra densità, un altro tipo di impianto che rende più facile il passaggio dalla città industriale (che Milano è stata e Roma no) a quella post-industriale con l’insediamento di nuove attività tipiche dell’economia dei servizi.
L'atelier di Stella Marina Gallas. Foto di NIcholas Berardo.
Ci spostiamo allora in un’altra area industriale di Roma, quella di Pietralata, che ha caratteristiche urbane molto diverse da quelle di Casal Bertone: qui il tessuto residenziale è rado e diverse fabbriche sono nate nel tempo, non lungo la ferrovia ma intorno a un’infrastruttura di tipo diverso, quella naturale del fiume Aniene.
Ex Lanificio Luciani. Foto di Giulia Manelli e Sebastiano Luciano.
Tra queste, l’ex Lanificio Luciani è un altro luogo dove arte, professioni e cultura underground si incontrano in un edificio industriale dal fascino decadente: una discoteca, studi di architettura e fotografici, laboratori artigiani dall’inizio degli anni 2000 si insediano in questo angolo di Roma dove l’abbandono della produzione industriale e la lontananza dal contesto urbanizzato hanno creato un rapporto peculiare con la natura selvaggia, che si è ripresa pian piano i suoi spazi e adesso invade il paesaggio visibile dalle grandi finestre; ancora una volta, sembra che la città finisca qui, e invece è tutta intorno, a portata di mano.
Ex Lanificio Luciani. Foto di Giulia Manelli e Sebastiano Luciano.
“Questi ambienti così ampi originariamente erano stati pensati per essere invasi da macchine tessili e produttive di grandi dimensioni” ci dice Emanuele Mantrici, socio fondatore dello studio di architettura Kami che qui ha trovato la sua sede dal 2012 “Questo ci ha permesso di poter giocare con doppie altezze, piani sfalsati e pedane, cercando di preservare accuratamente gli elementi originari per lasciare intatta la forte dicotomia tra un luogo completamente délabré, quasi respingente, ostile, e la natura selvaggia e invadente del fiume Aniene”.
Studio Kami nell'ex Lanificio Luciani. Foto di Giulia Manelli e Sebastiano Luciano.
Anche qui però l’idea di riconvertire il distretto industriale in un distretto creativo fatica a decollare. “Nel quartiere sono tanti gli spazi a disposizione che potrebbero essere riqualificati, ma di fatto l’ex Lanificio Luciani rappresenta un caso unico” ci spiega l'altro socio, Emanuele Custo “Qui le attività sono nate prevalentemente in modo spontaneo, “colonizzando” in maniera istintiva e naturale degli spazi creati per altre funzioni. Estendere questo modello, programmandolo e investendo delle risorse, potrebbe essere un ottimo aiuto alla riqualificazione delle periferie urbane”.
Studio Kami nell'ex Lanificio Luciani. Foto di Giulia Manelli e Sebastiano Luciano.
Il punto è anche che il passaggio all’economia post-industriale che ha vissuto Milano con la produzione di servizi ad alto valore aggiunto (design, marketing, comunicazione etc.) e le conseguenti trasformazioni urbane – un passaggio tra l’altro assolutamente non recente, breve o indolore – è stato possibile anche perché c’è stato un passato industriale fatto di produzioni di beni materiali che di quei servizi hanno avuto bisogno per restare competitivi sul mercato, andando a creare una filiera e una simbiosi con le professioni creative che nel tempo ha portato a eventi come il Salone del Mobile.
Roma paga quindi ancora oggi la scelta, fatta più di un secolo fa, di essere destinata a diventare capitale della burocrazia dello Stato centrale e dell’edilizia tirata su per alloggiare in massa il ceto notabile e impiegatizio e quello del proletariato delle costruzioni; per una vera transizione al modello di città post-industriale evoluta servirebbero non solo investimenti, ma anche visione, un surplus di lungimirante direzione pubblica e di competente politica urbanistica, che nell’approccio del lassez-faire tipico della città liberista adottato dagli anni Novanta in poi un po’ ovunque – non solo a Roma – sembra mancare del tutto.
L'ex silos di via Arimondi. Foto di Nicholas Berardo.
Torniamo allora a Casal Bertone con un po' di malinconia, ormai è quasi il tramonto. Nelle piazza di Santa Maria Consolatrice i bambini giocano a pallone, gli anziani al bar chiacchierano, il barista in livrea serve tramezzini a un avventore abituale e indolente, gli studenti fuori sede parlano al telefono mischiando il loro accento con le voci della piazza. Nella luce calda di aprile questa Roma piena di vita e così lontana dal Pantheon, dal Parlamento, dal Papa, è una delle più romane che ci sia. Chi crede che Roma sia solo “quella Roma che ci invidiano tutti, la Roma caput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell'Altare della Patria”, della Roma di oggi forse non ha capito niente, non la conosce.
Sulle scale dell'ex silos di via Arimondi. Foto di Nicholas Berardo.
Si parla sempre di “ripartire dalle periferie”, ma come se le periferie fossero luoghi perduti in cerca di redenzione; e invece pure tra mille problemi sono centri di vita, di una bellezza non scontata e possiedono oggetti urbani unici - come gli ex edifici industriali, alcuni interventi di edilizia popolare di grande qualità, un rapporto con la natura e le infrastrutture peculiare – che aspettano solo di essere “amati”: che qualcuno li sottragga a un destino di irrilevanza, li renda protagonisti della scena, e magari da qui faccia partire una nuova visione per l'intera città.
L'atelier di Stella Marina Gallas. Foto di NIcholas Berardo.
Durante Open House Roma sarà possibile visitare gli atelier Lost and Found, Barbara Gallas e Stella Marina Gallas di via Arimondi partecipando all'evento “Arimondi 3 Rewired”. L'atelier di Barbara Gallas ospiterà la mostra EcletticArt bgf - Progettazione e realizzazione di manufatti artistici di Barbara Gallas e Giorgia Funaro. All'ex Lanificio Luciani sarà possibile visitare gli studi di architettura Kami Studio e Mir Architettura. Più info al nostro programma.
Quest'articolo è stato realizzato per Open House Roma 2019 / Utilitas in collaborazione con CieloTerraDesign e fa parte di Rooms, progetto editoriale curato da Open City Roma.