Parla lo studio fermato a Ferrara dalle polemiche di Sgarbi: ecco perché è scandaloso portare l'utilità nella bellezza italiana.
di Paolo Casicci
foto di Giorgio Pasqualini
Per capire tutta la normalità di uno scandalo bisogna venire qui, al pianterreno rialzato di un edificio tardo ottocentesco nel borghesissimo quartiere romano di Prati, non lontano dal Vaticano e dalle carte bollate del Palazzaccio.
La prima sorpresa, superata la soglia dello studio Labics, è il rigore degli interni in cui prende corpo l'architettura di due quotati professionisti italiani. Cerchi la bufera e trovi il sereno: ampie porte vetrate e pareti bianche, parquet e librerie in ordine, larghi tavoli per modelli e plastici - alcuni entrati da poco nella collezione permanente del Maxxi - sedie in faggio di ottima fattura artigianale disegnate, come gli altri arredi in abete, dagli stessi architetti.
Una normalità luminosa e straordinaria che contrasta con la polemica scomposta innescata, due mesi fa, da Vittorio ed Elisabetta Sgarbi contro il progetto di Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori - Labics, appunto - per l'ampliamento del Palazzo dei Diamanti a Ferrara.
La storia è nota: con un articolo di Gian Antonio Stella, l'8 gennaio scorso il Corriere della Sera sdogana l'accusa degli Sgarbi contro l'idea stessa di "aggiungere" su un fronte incompleto del capolavoro rinascimentale di Biagio Rossetti un piccolo padiglione che consente di chiudere il percorso di visita e ospita al suo interno uno spazio espositivo e un nucleo di servizi igienici. Nulla di più normale in qualsiasi Paese straniero, uno "scempio da impedire" per il critico d'arte, perché "nessuno aggiungerebbe un capitolo alla Divina Commedia o all'Orlando Furioso". E questo nonostante il progetto messo a bando dal Comune di Ferrara e aggiudicato due anni prima a un raggruppamento che include lo studio romano preveda un sistema misurato completamente staccato dall’edificio esistente, tutt'altro - o forse proprio per questo? - che il capriccio di un archistar. L'uscita di Sgarbi smuove il Ministero per i Beni culturali di Alberto Bonisoli, che, con un atto senza precedenti e ancorché il progetto abbia incassato i via libera di legge, lo sospende con una nota che è un avvertimento a tutte le soprintendenze d'Italia: da ora e per sempre, gli architetti no pasarán.
Città del Sole, Roma. Labics, 2007-2016
Il risultato è che Labics assurge di colpo e suo malgrado a portabandiera dell'architettura negletta nel Paese della bellezza cristallizzata, incorniciata, intoccabile. Una sfida ancor più difficile se si guarda, oltre a Ferrara, all'Italia tutta e in particolare alla Roma di Clemente e Isidori, capitale che fatica ad accogliere il contemporaneo e dove ancor più negletto è forse il moderno, che pure, qui, si esprime a livelli altissimi: "A Sgarbi lo abbiamo chiesto”, ricorda Clemente: “Dov'eri quando stravolgevano un capolavoro come la Stazione Termini?". Da quella denuncia sullo stato della stazione, oggi ridotta a suq, con cui Eugenio Montuori mise in continuità lo scalo e le antiche mura serviane, nacque due anni fa una petizione su Change.org a favore di una legge sull'architettura. Appello finito con qualche migliaia di firme raccolte e un nulla di fatto. Perché in Italia abbiamo le archistar, ma l'architettura non è pop. Del resto è ben prima di allora che ci si domanda a chi può interessare difendere un'epopea che ancora stenta a trovare cittadinanza fuori dalla cerchia di specialisti e appassionati. Se la scienza da noi ha avuto almeno Piero Angela, l'architettura stenta a trovare buoni storyteller e perfino qualche discreto influencer. "L'Italia l'han fatta per metà Iddio e per metà gli architetti" scriveva Gio Ponti, ma era il 1957 e da allora uno slogan più efficace non è stato pensato.
Dice Francesco Isidori: "Il contemporaneo non è considerato in Italia qualcosa in grado di produrre cultura. Da questa premessa deriva tutta una serie di episodi passati, recenti e, purtroppo, forse anche futuri. Per esempio, spiega perché l'Accademia della scherma di Luigi Moretti al Foro Italico sia stata prima abbandonata, poi trasformata in aula bunker e poi di nuovo chiusa senza un progetto. O perché il Movimento moderno, con il suo secolo di storia, sia ritenuto meno importante del Rinascimento o del Barocco. E spiega anche perché ci si indigna per l'abbattimento di brutte palazzine anni Venti e non per quello di edifici di pregio degli anni Sessanta. Come se il passato, la distanza, siano di per sé garanzia di valore".
Sulle belle sedie di faggio, le parole scaldano l'ampia sala che inizia a riempirsi della luce di metà mattino: "In Italia al concetto di contemporaneo si è sempre associato un giudizio di valore in merito al linguaggio”, ragiona Clemente. “Quando si parla di opere contemporanee, lo si fa quasi sempre per dire se sono belle o brutte, e mai per valutarle come espressione del proprio tempo. Ci si accorge dei progetti delle archistar, ma al di sotto di quella scala tutto diventa invisibile, quando invece il senso del contemporaneo è soprattutto la sua straordinaria normalità, il fatto di portare vita nello spazio. La bellezza del Maxxi o della cavea del Parco della Musica a Roma sta anche nell'aver generato due piazze per la comunità, popolate di persone e famiglie, di librerie e caffè. Ciò che abbiamo provato a fare a Ferrara è stato aggiungere servizi a un capolavoro nel nome dell’utilitas che, con la firmitas (solidità) e la venustas (bellezza), è il cardine della nostra disciplina da Vitruvio in poi".
Passerella di Campo Carleo, Roma. Nemesi Studio - M. Molè, M.C. Clemente, D. Durante, 1998-2004
Via via che Clemente e Isidori sgranano il rosario della brutta vicenda ferrarese, si ricompone un puzzle che accanto a tante ombre conta qualche luce. Per dire: i Labics fermati da Bonisoli sono gli stessi architetti ad aver portato l’utilitas nel centro storico della capitale senza le proteste dello Sgarbi di turno. Succedeva tra il 1998 e il 2004 con il progetto, firmato insieme a Nemesi Studio, di una passerella a Campo Carleo, nel cuore del Foro di Traiano, e di una serie di piccole opere all’interno dei Mercati di Traiano. “Fu il primo sito storico a Roma a cui una soprintendenza illuminata decise di cambiare il destino, trasformandolo da monumento di se stesso a spazio espositivo". Questa decisione, di carattere strategico, ha reso necessarie una serie di opere – rampe per i disabili, servizi igienici, nuovi pavimenti... – indispensabili per rendere fruibile il percorso; mentre la passerella, che non nega la propria contemporaneità, ma la esalta staccandosi dalla muratura antica come un contrappunto leggero e nobile, ha sostituito una struttura in ferro e cemento lungo il vecchio percorso di Campo Carleo. "Nel caso dei Mercati di Traiano è stata l’utilitas a far tornare ad essere architettura una vestigia". Per dirla con Gio Ponti: "Immagini sempre l'architetto per una finestra una persona al davanzale, per una porta una persona che la oltrepassi [...], per una stanza una persona che ci viva".
Sul grande tavolo di abete atterrano due volumi. Il primo è di Jean Nouvel, Naissances et renaissances de mille et un bonheurs parisiens. “Nel 2009, il grande architetto pubblicò questo tomo monumentale sulla Ville Lumiere”, spiega Clemente. Felicità, cittadinanza e architettura: tre parole difficilmente avvistabili tutte insieme in una frase sola, almeno in Italia. L'altro libro è Borderline Metropolis, un'ipotesi su Roma concepita dagli stessi Labics per l'undicesima Biennale, l'idea di portare l'architettura a cucire quelle frange sconnesse e periferiche della capitale dove penetra la campagna e la dimensione urbana si perde. Due indagini eccellenti, divise a loro modo da un abisso: quella francese è il frutto di un percorso avviato da una committenza pubblica, l'altra, italiana, una ricerca spontanea.
Passerella di Campo Carleo, Roma. Nemesi Studio - M. Molè, M.C. Clemente, D. Durante, 1998-2004
“Ancora adesso i sindaci di Parigi chiedono agli architetti di immaginarne il futuro. Oltralpe non hanno mai avuto paura di mettersi in gioco, anche a costo di tormentarsi come è accaduto, per esempio, con i tanti, forse troppi progetti per Les Halles. In quarant’anni si è rimesso mano al cuore della città con coraggio e una visione di futuro che spesso è stata una visione di architettura e di architetti. Da noi Sgarbi trova terreno fertile perché la maggior parte delle nostre città fuori dai centri storici è brutta, e perché dal Dopoguerra con l'espansione urbana è cresciuta l'edilizia, non l'architettura, e questo ha contribuito a sviluppare una sensibilità contraria al nuovo che ha fermato una stratificazione durata quasi duemila anni". Dall'altra parte quella stratificazione è stata anche frutto di visioni coraggiose che oggi evidentemente in pochi reclamano. Eppure - concludono Clemente e Isidori - l'architettura può dare tanto alle nostre città. "Prima, però, bisogna volerglielo chiedere".
Durante Open House Roma 2019 sarà possibile visitare La città del Sole di Studio Labics. Tutte le informazioni a breve on line sul nostro programma
Quest'articolo è stato realizzato per Open House Roma 2019 / Utilitas in collaborazione con CieloTerraDesign e fa parte di Rooms, progetto editoriale curato da Open City Roma.