Un villaggio tra le nuvole. Viaggio alla scoperta di Gellner e Scarpa | Open House Roma

Un villaggio tra le nuvole. Viaggio alla scoperta di Gellner e Scarpa

 

 

Al pari dell’alpinismo,

l’architettura di montagna è una sfida con un ambiente a volte ostile che non lascia margine all’imperizia

e non può prescindere dal sapere tradizionale

sedimentato attraverso l’opera di anonimi costruttori.

(Michele Merlo)

Ci sono viaggi che iniziano molto prima di partire: nei nomi che evocano paesaggi lontani, nelle architetture studiate sui libri che d’improvviso diventano reali.

Così è stato a Borca di Cadore, dove siamo andati a cercare le tracce di Edoardo Gellner e Carlo Scarpa, lasciandoci guidare dalle loro forme, dai dettagli, dai racconti intrecciati al paesaggio.

Dal 13 al 16 giugno Laura Calderoni e Davide Paterna di OHR, insieme a Francesco Nardi di “Cosa vedere a Roma”, hanno accompagnato un gruppo di openhousiani doc alla scoperta del Villaggio ENI di Borca e delle architetture di Gellner a Cortina. Un viaggio dentro l’opera di un architetto ancora poco conosciuto, capace però di incarnare le qualità più alte dell’architettura: rispetto del contesto, attenzione alle relazioni tra le persone, studio della tradizione, sensibilità materica e tensione verso la contemporaneità.

Il nostro itinerario è iniziato nel Villaggio ENI, nato negli anni ’50 per volontà di Enrico Mattei. Un progetto visionario: un villaggio per le vacanze collettive dei dipendenti, costruito sul versante pietroso del Monte Antelao. Quella che sembrava una terra ostile, “un covo di vipere”, diventò per Gellner l’occasione di ridisegnare il paesaggio con rimboschimenti, terrazzamenti ed edifici in armonia con la natura. Del grande piano furono realizzati l’Hotel, la Colonia, il Campeggio, il Residence, trecento villette e la straordinaria Chiesa di Nostra Signora del Cadore.

Accolti dal direttore dell’Hotel Boite, abbiamo visitato i suoi interni luminosi e ariosi: le travi in legno scandiscono la hall con le grandi vetrate sul Monte Pelmo, mentre reception, bar e camino dialogano con materiali diversi – legno, pietra, ferro, cemento – in un equilibrio fluido. Le camere, sobrie ma raffinate, guardano anch’esse al paesaggio: ogni finestra è un quadro, ogni terrazzo un invito alla contemplazione.

Guidati da Davide Maffei, regista del documentario “Un piacevole soggiorno nel futuro”, abbiamo poi esplorato una delle 300 villette unifamiliari. Case modulari, compatte, funzionali, con arredi disegnati da Gellner e prodotti da Fantoni: un “Ikea ante litteram” che ci ha strappato un sorriso. Ogni abitazione aveva la sua “Stuba”, stufa tradizionale rivestita in ceramiche geometriche, cuore caldo della vita familiare.

Al campeggio, pensato per i ragazzi dagli 12 ai 18 anni, ci hanno colpito le piccole capanne di legno, colorate come una tavolozza di Le Corbusier: letti richiudibili, spazi minimi ma intelligenti, servizi condivisi e grandi sale comuni. Architettura semplice, ma capace di educare alla convivenza.

Il giorno seguente abbiamo visitato la Colonia, pensata per seicento bambini: quindici edifici collegati da passaggi coperti. Oggi abbandonata, la Colonia conserva il fascino di un gigante addormentato: corridoi infiniti, rampe a misura di bambino, dormitori dai colori ancora vivi. Un luogo che trattiene la memoria di centinaia di voci.

Dopo una sosta al forno di San Vito, ci siamo spostati a Cortina per conoscere un Gellner diverso: il Residence Palace delle Olimpiadi ’56, con le sue scale rosse leggere come origami; il Palazzo Telve e Luce, discusso ma sorprendentemente moderno; infine Cà del Cembro, la casa-studio, raccontata da Michele Merlo, ultimo collaboratore dell’architetto. Qui Gellner ha vissuto e lavorato fino al 2004, scattando ogni giorno una fotografia alla Tofana di Rozes, in un rituale intimo di luce e paesaggio.

La sera, nel silenzio della Chiesa di Nostra Signora del Cadore, progettata con Scarpa, ci siamo lasciati avvolgere da un concerto. Le falde imponenti, il pavimento di legno e cemento, la luce rarefatta: tutto parlava di un’idea radicale e poetica di abitare la montagna. Il giorno successivo, accompagnati ancora da Maffei, abbiamo ritrovato la chiesa con occhi nuovi: il sagrato come terrazza sospesa, la porta bronzea che un tempo metteva in dialogo interno ed esterno, i pilastri lapidei, la guglia che svetta fino al cielo. Un’opera che emoziona per audacia e armonia.

Il viaggio è proseguito con passeggiate verso la cascata di Ru de Assola, fino a trasformarsi in una vera caccia al tesoro all’interno del Villaggio, per riscoprirne il carattere ludico e fantastico. Non solo visite, ma incontri: con i luoghi, con chi ci ha accolto, con chi ha custodito le chiavi di spazi solitamente chiusi. Il paesaggio non come cornice, ma parte viva del racconto.

Viaggiare così significa entrare in un tempo diverso, fatto di scoperte lente e meraviglia. È questo lo spirito con cui Open House Roma immagina i suoi viaggi: aprire varchi in luoghi dimenticati, intrecciare architettura e umanità. Questa volta è stato Gellner a guidarci, tra villaggi modernisti e montagne eterne. La prossima, chissà. Ma lo sguardo resterà lo stesso: andare oltre ciò che si vede, per ascoltare ciò che i luoghi hanno ancora da raccontare.

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Un grazie sincero ai partecipanti, compagni straordinari di questa prima avventura di OHR: Elena, Maria Vittoria, Cristina, Emanuela, Simonetta, Daniela, Maria, Luisa V., Luisa F, Gianrico. Fabio, Francesca, Laura, Paola, Mauro, Carla, Alessandro, Eleonora, Danilo, Helena, Paola, Quinto, Fabrizio, Federico. Grazie al Direttore dell’Hotel Boite Francesco Accardo e a Francesca Marinelli per amare questo luogo come se fosse casa, a Francesco Nardi per la visione e la tenacia, a Davide Maffei per la passione e la competenza, a Michele Merlo per averci aperto lo studio di Gellner e averci regalato racconti speciali, all’ing. Giambattista De Ghetto per la sua memoria preziosa.

Alla prossima!

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